Sebastião Ribeiro Salgado Júnior, uno dei più influenti fotografi del nostro tempo, si è spento a Parigi all’età di 81 anni.
A dare notizia della sua scomparsa è l’Instituto Terra, fondato dallo stesso Salgado nel 1998 con l’obiettivo di promuovere il ripristino ambientale nella regione del Rio Doce, in Brasile.
Le cause della morte non sono state rese pubbliche, ma negli ultimi mesi l’artista aveva dovuto sospendere la partecipazione ad alcuni eventi per motivi di salute.
Il comunicato dell’Istituto ricorda: “Il suo obiettivo ha rivelato il mondo e le sue contraddizioni; la sua vita, il potere dell’azione trasformativa”.

Dalle scienze economiche alla fotografia sociale
Nato ad Aimorés (Brasile) l’8 febbraio 1944, Salgado intraprese inizialmente una carriera come economista.
Solo nel 1973, all’età di 29 anni, scelse la fotografia come mezzo espressivo.
A guidarlo fu la convinzione che l’immagine fosse un linguaggio universale capace di raccontare la complessità del reale senza mediazioni.
Salgado dichiarava: “Non facevo fotografie solo per denunciare, ma perché era la mia vita: il modo per esprimere ideologia ed etica attraverso uno strumento che non ha bisogno di traduzioni”.
Altre Americhe (1977–1984): l’esordio di un linguaggio personale
Il primo grande progetto fotografico, Altre Americhe, fu realizzato tra il 1977 e il 1984 e pubblicato come libro nel 1986.
L’opera documenta la vita di comunità rurali e indigene in America Latina, anticipando la poetica saldamente umanista che contraddistinguerà tutta la sua produzione successiva.
Serra Pelada e la dignità del lavoro (1986)
Durante la stagione secca del 1986, Salgado documenta l’impressionante miniera d’oro di Serra Pelada, nello Stato brasiliano del Pará. Oltre 50.000 uomini scavano a mani nude in condizioni estreme.
Le immagini entrano nella serie Workers (1986–1992), dedicata alla forza fisica e morale del lavoro umano.
L’artista raccontava: “La prima volta che vidi la miniera rimasi senza parole. Avevo la pelle d’oca: 52.000 uomini lavoravano in un cratere profondo 200 metri, senza alcuna macchina”.
Le fotografie assumono una valenza quasi mitologica, evocando iconografie bibliche e composizioni rinascimentali.

Il fotogiornalismo nei teatri di crisi (1991–2000)
Nel 1991, dopo la fine della Prima Guerra del Golfo, Salgado si reca in Kuwait per documentare gli incendi appiccati ai pozzi petroliferi su ordine di Saddam Hussein.
Le immagini rivelano una catastrofe ecologica senza precedenti: animali ricoperti di greggio, colonne di fumo, operai avvolti dal petrolio.
“Era come lavorare su un palcoscenico grande quanto il pianeta. Il fumo era così denso che il sole non filtrava. La mia sordità è cominciata lì”, dichiarava.
Negli anni successivi Salgado amplia il suo sguardo con Migrations (2000), un monumentale racconto per immagini dedicato ai movimenti di popolazioni in fuga da guerre, povertà e cambiamenti climatici.

Genesis e l’armonia primordiale (2012)
Con Genesis (2012), frutto di oltre otto anni di viaggi, Salgado fotografa gli angoli più remoti e incontaminati della Terra.
Il progetto intende documentare un mondo ancora intatto, in opposizione alla crescente devastazione ambientale.
È il punto di sintesi tra estetica, etica e attivismo.
Amazonia e la sacralità della biodiversità (2021)
Nel più recente Amazonia (2021), Salgado ritrae le popolazioni indigene del bacino amazzonico, i loro volti, ornamenti e rituali.
Le immagini restituiscono un senso di spiritualità arcaica e mitica, sottolineando il profondo legame tra uomo e natura.
Accanto ai ritratti, gli scatti naturalistici — balene, pinguini, uccelli in volo — rafforzano il messaggio di rispetto per la biodiversità e l’equilibrio del pianeta.


Mostre in corso nel 2025: Ghiacciai
L’eredità visiva di Sebastião Salgado è al centro di due importanti esposizioni in corso nel 2025.
La prima è “Ghiacciai”, visitabile al Mart di Rovereto fino al 21 settembre 2025, a cura di Lélia Wanick Salgado.
La seconda è l’appendice della mostra al MUSE di Trento, con dieci grandi fotografie della stessa serie.
Il progetto è realizzato con il Trento Film Festival, in collaborazione con Contrasto e i due musei trentini, in occasione dell’Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai, proclamato dalle Nazioni Unite.