Copia di Beyond 21

Eyes On, un viaggio nel mondo degli artisti palestinesi contemporanei

Al di là di ogni retorica, senza entrare nella devastante e complessa situazione del popolo palestinese, dBustle prova a dare un contributo, seppur minimo, con un viaggio nella scena di artisti, musicisti e collettivi urbani, il cui lavoro fonde creatività, espressione estetica e connessione umana.

Storie e percorsi per conoscere i suoni e le vibrazioni di un popolo dalla fortissima identità culturale.

Probabilmente in questo momento è l’artista palestinese più conosciuta, purtroppo non abbiamo mai avuto modo di ascoltarla in uno dei suoi recenti live.

 

Sama’ Abdulhadi, considerata la prima DJ palestinese con risonanza internazionale, ha iniziato il suo percorso musicale a Beirut, dove la scena techno le ha permesso di affinare un suono originale che lei stessa definisce “Berlin techno in chiave libanese”.

 

La notorietà globale arriva nel 2018 con il set “Boiler Room Ramallah”, che ha superato milioni di visualizzazioni, rendendola simbolo di talento e resistenza culturale.

Parallelamente alla carriera artistica, ha fondato Union, un hub creativo a Ramallah pensato come spazio d’incontro e crescita per DJ, produttori e giovani artisti locali.

 

Negli anni si è esibita nei principali festival mondiali, tra cui Coachella, Glastonbury, Primavera ed Exit Festival, portando la techno palestinese su palchi di enorme prestigio.

Nel 2023 ha pubblicato “Fabric Presents Sama’ Abdulhadi”, una raccolta che include il singolo “Well Fee”, riaffermando il suo impegno nel coniugare musica, identità e attivismo culturale attraverso un linguaggio universale: il ritmo elettronico.

Yazeed al-Talaa

Yazeed al-Talaa, artista palestinese originario del campo profughi di Al-Maghazi a Gaza, è riconosciuto come uno dei protagonisti della calligraffiti, linguaggio che fonde la tradizione della calligrafia araba con l’espressività dei graffiti moderni. 

Dopo la laurea in Interior Design all’Università di Al-Aqsa nel 2014, ha scelto di portare la sua arte negli spazi urbani, trasformando muri distrutti e vicoli trascurati in tele che raccontano speranza, resilienza e identità culturale. 

 

Attraverso opere come “Dream of Freedom”, “Colors of Gaza” e “The Right to Return”, al-Talaa rivendica il diritto di Gaza a essere vista non solo come luogo di sofferenza, ma anche come fucina di creatività e bellezza.

Le sue creazioni, condivise ampiamente sui social e presentate anche fuori dalla Palestina, gli hanno permesso di far conoscere al mondo la vitalità dell’arte gazawi. 

Oggi, la sua voce visiva resta un simbolo di resistenza pacifica e di orgoglio collettivo.

Siamo sinceri, non conoscevamo questo collettivo, ma quello che producono è veramente una bomba!

 

BLTNM è un collettivo musicale nato a Ramallah tra il 2015 e il 2016, fondato da Shabjdeed, Al Nather e Shabmouri.

La loro proposta ha rivoluzionato il rap in arabo, mescolando sonorità trap, bassi elettronici e testi incisivi che riflettono la vita urbana palestinese e le sfide di una generazione.

 

Il collettivo ha raggiunto un primo grande riconoscimento nel 2018 con il singolo “Aghla al Ghawali”, seguito nel 2019 dall’album “Sindibad el Ward”, che ha segnato un punto di svolta per l’hip hop indipendente in Medio Oriente.

 

Negli anni successivi, con brani come “Fi Harb” e “Ya Ali”, hanno continuato a sperimentare, fondendo influenze locali e globali.

Nel 2024 l’uscita di “SULTAN” ha mostrato una maturità artistica più concettuale, mentre nel 2025 è arrivato l’album “MSEBEH”.

 

Oltre alla musica, BLTNM cura con attenzione l’immagine visiva, rendendo i videoclip e l’identità estetica parte integrante della loro forza culturale e creativa.

Per puro caso, venendo giù dal Gran Sasso un paio di estati fa, ci siamo imbattuti in un suo lavoro a Borgo Universo, posto pazzesco con opere di artisti da tutto il mondo.

Proprio sui muri del piccolo borgo di Aielli, Taqi Spateen ha dipinto “From Palestine With Love”, opera in cui raffigura una giovane sposa attorniata da soldati e lontana dal suo uomo, che la guarda da lontano.

 

Taqi Spateen è un artista palestinese nato a Betlemme e laureato in Belle Arti presso l’International Academy of Art (IAA) di Ramallah.

Fin da bambino ha mostrato passione per la pittura, realizzando i suoi primi murales già durante gli anni delle scuole superiori.

 

Dopo la laurea, ha vinto un’importante gara architettonica per il restauro di un palazzo storico, competendo con studi internazionali.

La sua produzione pittorica si concentra soprattutto sui paesaggi, con uno stile realistico che valorizza la campagna palestinese e in particolare l’olivo, simbolo ricorrente nelle sue opere.

Nei lavori più recenti affronta temi legati all’urbanizzazione, agli insediamenti coloniali e alle trasformazioni del paesaggio.

 

Ha realizzato murales di forte impatto sul muro dell’apartheid di Betlemme, come quelli dedicati a George Floyd e Iyad Hallaq, e ha esposto in mostre internazionali, tra cui “Be with the Revolution: Street Art” al museo MK&G di Amburgo.

Ha inoltre partecipato a residenze artistiche a Cergy e alla Cité Internationale des Arts di Parigi.

Makimakkuk

Makimakkuk (nome reale Majdal A. I. Nijim) nasce artisticamente a Ramallah, iniziando a produrre musica negli anni universitari e a sperimentare con rap ed elettronica.

 

Nel 2020 pubblica i primi lavori su Bandcamp, tra cui “Someday” e “Jazirat AlKanz”, che uniscono beat minimali e testi introspettivi.

Nel 2021 si esibisce in eventi locali e si consolida come voce della scena underground, mentre nel 2022 esce il brano “Mish Ma’ Enno”, che la avvicina a un pubblico più ampio grazie alla fusione di spoken word e rap.

 

Nel 2023 propone “Tartaqa (Rewrite Version)”, dimostrando una continua ricerca sonora e una maturazione stilistica.

Il 2024 segna una svolta con il singolo “Asfoor”, masterizzato da Raz Mesinai, che le dà riconoscimento internazionale e viene celebrato per la capacità di fondere testi poetici con strutture elettroniche contemporanee.

 

In parallelo, Makimakkuk collabora con artisti della scena indipendente palestinese, tra cui Shabjdeed, Al Nather e altri membri del collettivo BLTNM, contribuendo a creare un linguaggio musicale comune che unisce hip hop ed elettronica sperimentale.

Ha preso parte anche a performance collettive con Mukta-feen (Shabmouri), rafforzando i legami tra musica e arti visive.

 

Partecipa a progetti e festival come il Boiler Room Palestine, il DMZ Peace Train Music Festival in Corea del Sud e la Sharjah Biennial 16, mentre il documentario “Palestine Underground” racconta la sua influenza sulla scena locale.

Senz’altro una delle scoperte più interessanti nella preparazione di quest’articolo.

 

Naji AlAli, conosciuto con il nome d’arte LMNBCK, è un artista palestinese nato nel 1999 che lavora tra pittura, murales, scultura, animazione e filmmaking.

Il nome LMNBCK (pronunciato lemonback) nasce come gioco linguistico: rappresenta l’idea di trasformare l’amarezza dei limoni in qualcosa di più dolce, proprio come quando si fa limonata, e racchiude la sua visione di resistenza creativa.

 

La sua poetica ruota attorno a figure antropomorfe di frutti — limoni, angurie, olive — che diventano simboli viventi della resilienza palestinese.

Nel 2022 ha presentato la personale “Borderless” al Mint Museum Uptown di Charlotte.

Nel 2023 ha realizzato la mostra “It’s Just A Game” ad Amman e ha partecipato alla collettiva “Out Of Place” negli Stati Uniti.

 

In opere come “Roll Your Dice” e “Night Shepherd” (2023) combina surrealismo e allegoria per immaginare paesaggi utopici di una Palestina liberata.

Nel 2024, con “Key West” e “Fawda”, introduce personaggi come Lemonback, Ms. Bateekhah, Tino e Zaytoon, trasformando il dolore in visioni poetiche di speranza.

Muqata’a

Muqata’a nasce artisticamente nei primi anni Duemila a Ramallah, dove nel 2002 co-fonda il collettivo Ramallah Underground, realtà pioniera che rimane attiva fino al 2009. Negli stessi anni avvia anche il progetto audiovisivo Tashweesh con Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme, sperimentando le connessioni tra suono e immagine.

 

Nel 2013 pubblica il suo primo album solista, “Hayawan Nateq”, segnando l’inizio di un percorso che coniuga hip hop strumentale ed elettronica sperimentale. Seguono “La Lisana Lah” e “Dubt Al-Ghubar” nel 2017, lavori che consolidano il suo linguaggio fatto di campionamenti, glitch e atmosfere abrasive.

Il 2018 è l’anno di “Inkanakuntu”, uscito per l’etichetta Souk/Discrepant, che riceve riconoscimenti internazionali per la capacità di fondere memorie sonore arabe e tecniche elettroniche avanzate. Nel 2020 raccoglie i suoi singoli nell’antologia “Singles | مقطوعات”, mentre nel 2021 pubblica l’album “Kamil Manqus” con Hundebiss Records, dove il concetto di “intero imperfetto” diventa estetica musicale.

 

Parallelamente, fonda la piattaforma Bilna’es, che sostiene giovani artisti palestinesi come Julmud con “Tuqoos” (2022), e collabora con musicisti internazionali tra cui Hiro Kone.

Negli anni recenti porta le sue performance in spazi come il festival Unsound di Cracovia e il MoMA di New York, ed è tra i protagonisti del documentario “Palestine Underground” (2018), che racconta la scena elettronica di Ramallah.

Laila Ajjawi, nata nel 1990 nel campo profughi di Irbid in Giordania, è una street artist palestinese che ha trasformato i muri dei campi e delle città in strumenti di memoria e resistenza.

La sua famiglia proviene dal villaggio di Jenin Ajja, abbandonato durante la Nakba del 1948, e questo passato è al centro del suo immaginario.

Laureata in fisica biomedica all’Università di Yarmouk, ha iniziato a dipingere murales già a 17 anni, trovando nell’arte pubblica un linguaggio diretto per raccontare storie di rifugiati e per affermare il ruolo delle donne.

 

Tra le opere più note vi sono “Look At My Mind” (2014), creata per il progetto Women on Walls, che denuncia la riduzione delle donne alla sola apparenza, e “My Country’s Daughter” (2021), realizzata a Irbid.

Ha dipinto anche per il centro femminile SheFighter ad Amman, fondato da Lina Khalifeh.

Nel 2024 ha partecipato alla mostra “Out of Place” con due grandi tele: “A Blossom of Life”, che raffigura una donna con una giara d’olio d’oliva e un arancio sullo sfondo, e “The Unseen Stories”, dedicata alle responsabilità quotidiane delle giovani donne nei campi.

GAZA SKATE TEAM

Ultimi ma non sicuramente per l’attenzione che vorremo dedicare ai ragazzi del Gaza Skate Team, visto che avevamo già dedicato un articolo a questo progetto, che è possibile leggere a questo link.

Il Gaza Skate Team, fondato nel 2017 da Rajab Al-Reefi, è oggi un collettivo che unisce sport, arte e resistenza culturale nella Striscia di Gaza.

Nato in un contesto segnato da bombardamenti e restrizioni, il gruppo ha trasformato macerie e strade dissestate in rampe improvvisate, insegnando lo skate a bambini e adolescenti.

Spesso una sola tavola è condivisa da molti ragazzi, e non mancano giovani che pattinano persino scalzi, spinti solo dall’entusiasmo e dal desiderio di libertà.

 

Il percorso di Rajab nello skateboarding inizia nel 2015, quando l’organizzazione italiana Gaza Freestyle visita Gaza e costruisce una mini-rampa in legno.

All’epoca Rajab si costruisce da solo la prima tavola, e la seconda gli viene regalata da un amico italiano.

Due anni dopo, decide di fondare il Gaza Skate Team, che diventa presto un punto di riferimento per decine di ragazzi.

 

Parallelamente, Rajab porta avanti la fotografia come mezzo per documentare e diffondere il progetto.

Il team non si limita allo sport: organizza workshop che intrecciano skate, rap, breakdance e arte urbana, creando spazi comunitari di resilienza.

 

Collaborazioni con realtà come Gaza Freestyle e soprattutto con SkatePal hanno portato supporto internazionale.

Fondata nel 2013, SkatePal è una ONG che costruisce skatepark e rampe in Palestina, fornisce equipaggiamento e mentorship, e ha sostenuto il Gaza Skate Team con materiali e campagne di raccolta fondi, come il merchandising dedicato a Rajab e alla sua comunità.

 

Nonostante le continue distruzioni — come la rampa sul lungomare di Gaza City, rasa al suolo dai bombardamenti — il Gaza Skate Team continua a ricostruire, reinventarsi e trasmettere speranza.

Ogni trick diventa un atto di liberazione, e lo skateboard si trasforma in un linguaggio universale di resistenza, appartenenza e futuro possibile.

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